Quando Takeshi Niinami, l’influente ex presidente del gigante giapponese delle bevande Suntory, ha annunciato le sue dimissioni, non è stato a causa di illeciti finanziari, cattiva gestione aziendale o scandali politici. Piuttosto, è stato a causa di qualcosa che, nella maggior parte del mondo, avrebbe suscitato poche reazioni: il suo uso di integratori alimentari a base di CBD per combattere il jet lag.
Come riportato dal New York Times, Niinami ha ammesso di aver acquistato negli Stati Uniti integratori alimentari contenenti cannabidiolo (CBD). In una conferenza stampa a Tokyo, ha confessato: “Non credo di aver infranto alcuna legge e sono innocente”, specificando di non aver mai consumato o posseduto questi prodotti sul suolo giapponese.
Nonostante la sua insistenza, le autorità giapponesi hanno aperto un’indagine in base al Narcotics Control Act, uno dei quadri antidroga più severi al mondo. L’indagine è stata sufficiente a far perdere a Niinami il posto di lavoro alla Suntory, dove il consiglio di amministrazione ha dichiarato che aveva mostrato una “mancanza di coscienza” incompatibile con il suo ruolo di leader.
LaCBD e il peso dello stigma
Secondo l’Associated Press, Niinami ha spiegato che l’integratore alimentare CBD gli era stato consigliato da un amico negli Stati Uniti, che gli aveva assicurato che era “legale al 100%”. Aveva intenzione di usarlo per ridurre il jet lag durante i suoi frequenti viaggi di lavoro all’estero. Tuttavia, un pacco inviato a casa sua a Tokyo non è mai arrivato e un altro pacco destinato a lui è stato intercettato, facendo scattare le indagini della polizia.
In molti Paesi questa storia sarebbe finita lì, come un aneddoto su un alto dirigente che ricorre a rimedi naturali per combattere la stanchezza da viaggio. In Giappone, invece, in un ambiente di tolleranza zero, è degenerata in una controversia nazionale.
Le dimissioni di Niinami, un dirigente istruito ad Harvard che ha svolto un ruolo centrale nella trasformazione di Suntory in una potenza globale, illustrano le conseguenze sproporzionate della posizione intransigente del Giappone. Non è stato accusato di ubriachezza, negligenza o abuso di potere. La sua unica “colpa” è stata quella di prendere in considerazione l’assunzione di un integratore alimentare venduto legalmente in Europa e negli Stati Uniti. Una situazione assurda in un contesto di legislazione obsoleta.
Nelle parole di Niinami: “È stata la mia negligenza a portare a questa situazione quando ho acquistato questi integratori alimentari. Mi scuso per il clamore che ha suscitato”
Le sue scuse, fatte in linea con la cultura giapponese del pentimento pubblico, sottolineano fino a che punto la reputazione e la responsabilità aziendale possono prevalere sulle prove effettive di un illecito.
Le leggi giapponesi sulle droghe sono tra le più severe al mondo e criminalizzano non solo il consumo ma anche il possesso di cannabis in tutte le sue forme. Personaggi di spicco, dagli atleti agli artisti, hanno affrontato la vergogna pubblica e le ripercussioni legali per reati minori che difficilmente sarebbero stati notati altrove.
E l’ironia è impressionante: un dirigente di un marchio globale di alcolici è costretto a dimettersi non per una controversia legata all’abuso di alcol o all’impatto della sua azienda sulla salute pubblica, ma per un prodotto che è legale e innocuo proprio nei mercati in cui ha fatto crescere la sua attività
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